| La canzone della granata Ricordi quand'eri saggina,
 coi penduli grani che il vento
 scoteva, come una manina
 di bimbo il sonaglio d'argento?
 Cadeva la brina; la pioggia
 cadeva: passavano uccelli
 gemendo: tu gracile e roggia
 tinnivi coi cento ramelli.
 Ed oggi non più come ieri
 tu senti la pioggia e la brina,
 ma sgrigioli come quand'eri
 saggina.
 Restavi negletta nei solchi
 quand'ogni pannocchia fu colta:
 te, colsero, quando i bifolchi
 v'ararono ancora una volta.
 Un vecchio ti prese, recise,
 legò; ti privò della bella
 semenza tua rossa; e ti mise
 nell'angolo, ad essere ancella.
 E in casa tu resti, in un canto,
 negletta qui come laggiù;
 ma niuno è di casa pur quanto
 sei tu.
 Se t'odia colui che la trama
 distende negli alti solai,
 l'arguta gallina pur t'ama,
 cui porti la preda che fai.
 E t'ama anche senza, ché ai costi
 ti sbalza, ed i grani t'invola,
 residui del tempo che fosti
 saggina, nei campi già sola.
 Ma più, gracilando t'aspetta
 con ciò che in tua vasta rapina
 le strascichi dalla già netta
 cucina.
 Tu lasci che t'odiino, lasci
 che t'amino: muta, il tuo giorno,
 nell'angolo, resti, coi fasci
 di stecchi che attendono il forno.
 Nell'angolo il giorno tu resti,
 pensosa del canto del gallo;
 se al bimbo tu già non ti presti,
 che viene, e ti vuole cavallo.
 Riporti, con lui che ti frena,
 le paglie ch'hai tolte, e ben più;
 e gioia or n'ha esso; ma pena
 poi tu.
 Sei l'umile ancella; ma reggi
 la casa: tu sgridi a buon'ora,
 mentre impaziente passeggi,
 gl'ignavi che dormono ancora.
 E quanto tu muovi dal canto,
 la rondine è ancora nel nido;
 e quando comincia il suo canto,
 già ode per casa il tuo strido.
 E l'alba il suo cielo rischiara, ma prima lo spruzza e imperlina,
 così come tu la tua cara
 casina.
 Sei l'umile ancella, ma regni
 su l'umile casa pulita.
 Minacci, rimproveri; insegni
 ch'è bella, se pura, la vita.
 Insegni, con l'acre tua cura
 rodendo la pietra e la creta,
 che sempre, per essere pura,
 si logora l'anima lieta.
 Insegni, tu sacra ad un rogo
 non tardo, non bello, che più
 di ciò che tu mondi, ti logori
 tu!
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