Nei bassifondi di Napoli, Luciano (Aniello Arena, ergastolano del carcere di Volterra, della cui compagnia teatrale fa parte, al suo debutto cinematografico) è un estroverso pescivendolo con famiglia a carico, che per arrotondare organizza piccole truffe assieme alla moglie. Un giorno, su pressione dei parenti, decide di tentare la svolta partecipando ai provini del Grande Fratello. La convinzione di essere stato scelto ed essere continuamente osservato lo spingerà in un baratro di esaltazione e follia.
Matteo Garrone è conosciuto per essere creatore di film estremi e qui lo conferma. La parabola discendente di cui è protagonista il pescivendolo non è sicuramente estranea all’ambiente sociale cui egli appartiene: pensandoci, c’è una buona percentuale della popolazione che è in condizioni (economiche o culturali) tali per cui ritenere un Grande Fratello (o comunque il mondo lato della televisione) come la massima aspirazione di un’esistenza. L’ambiente in cui il protagonista si muove è già di per sé inquietante: sin dalla prima inquadratura i caseggiati fatiscenti e capannoni che ricoprono letteralmente le pendici del Vesuvio sembrano raffigurare un labirinto senza speranza e senza uscita; stessa cosa vale per il piccolo mondo dove il protagonista si muove: uno spiazzo sterrato e chiuso su cui si affaccia l’abitazione disastrata, la pescheria all’aria aperta, il bar ecc. A ciò si affianca una famiglia dove rare sono le voci sagge: bassa cultura, lavoretti occasionali e poco onesti, abitudini che valicano di gran lunga il limite della cafonaggine; il tutto in un ambiente sociale che comunque rasenta la povertà e l’analfabetismo. A tratti sembra impossibile di trovarsi in Italia, ma è così.
Una parola di lode va sicuramente donata agli attori, che svolgono egregiamente il loro compito, con la naturalezza tipica delle maschere napoletane, seppure davanti ad una sceneggiatura poco sufficiente. Il film di Garrone vuole infatti essere consapevolmente un film disturbante: il linguaggio scarno (tutto recitato in dialetto napoletano) e i dialoghi concreti, le locations affatto gradevoli, i personaggi tra il volgare e l’ignorante sono tutti elementi che voglio concorrere alla creazione di un’ambientazione idonea allo svilupparsi della trama; cosa questa riuscita, ma che non può non creare un senso di rigetto nello spettatore. Se c’è qualcosa da rimproverare al regista è un esasperante senso di lentezza: il film sembra procedere a fatica, con giri a vuoto, inutili puntigliosità, scelte non azzeccate su cui si insiste parecchio (ad esempio la scena del dono degli oggetti di casa); il tutto concorre a far giudicare negativamente questa pellicola, che partendo da buone idee rischia di arenarsi ai confini di Gomorra.
“A tratti sembra impossibile di trovarsi in Italia, ma è così.”
No, no… sembra molto possibile trovarsi in Italia e, di questo passo, lo sarà sempre di più!!!