Nelly Lemetti era un antica signora nata a Barca, nel comune di Barga, il 19 dicembre 1896, e morta nel 2004 poco prima di compiere la veneranda età di 108 anni. Una vita, la sua, che sembra uscita un vecchio romanzo: si era innamorata a 16 anni di Giacomo, un bel ragazzo con cui partì per l’America: iniziò così un’avventura che li vide divenire da umili emigranti proprietari di un noto saloon a Chicago.
“Anche se – ricordava – si rivelò un lavoro pesante dovendo spesso placare l’esuberanza e i litigi dei focosi cow boy, tutto andò a gonfie vele”. Poi, la sicurezza economica e la mancanza dei familiari e della sua terra d’origine, gli fecero prendere la decisione di tornare in Italia e costruirsi una bella villetta dove visse, tra viaggi e ricordi, i suoi ultimi anni. Per occasione dei suoi compleanni centenari fu spesso intervistata dal decano del giornalismo locale: Giulio Simonini che ha raccolto, poi, un suo bel “ritratto” nell’interessante libro- di cui vi abbiamo già parlato– “Profili di uomini illustri della valle del Serchio e della Garfagnana” .
Ogni volta raccontava qualcosa di nuovo, qualche aneddoto sui primi anni passati là in America con i morsi della fame ma sempre tornava con la sua mente al tempo lontano della sua infanzia in cui era la bambina prediletta del poeta Giovanni Pascoli.
Già perché il padre di Nelly, Luigi, era il proprietario della famosa Osteria del Platano, al Ponte di Campia, frequentata dal poeta che nei bei giorni di primavera sedeva presso il tavolo di ferro nella piazzetta adiacente all’osteria d’inverno invece, al caldo, a un piccolo tavolo vicino al banco nella luce fioca tra l’odore del vino e quello del fumo. Non guidava mai il calesse, c’era sempre il Lorenzaccio, così poteva bere e mangiare a piacimento fino a che il carrettiere un giorno non si lasciò scappare una battuta ad alcuni amici: “Vado da quella famiglia di matti” riferendosi a Giovanni e alla sorella. Saputolo, Pascoli non ci si rivolse più.
“All’osteria di mio padre – ricordava – Pascoli trascorreva il suo tempo libero. Amava leggermi le sue poesie e correggere i miei compiti, inoltre gli piaceva conversare e prendere appunti sul dialetto garfagnino dei barrocciai e avventori che si rifocillavano al Platano, scambiando con loro qualche bicchiere del vino dei colli di Piezza”. Nel loro linguaggio, infatti, ritrovava l’italiano del Due e Trecento, ossia il rude fiorentino, che aveva affinità col garfagnino di monte.
Nelly, quando divenne più grande, andava pure a visitarlo al Colle di Caprona per dei piccoli servizi come portargli il giornale e i sigari che ordinava a suo padre e divideva con la sorella Mariù. “Il poeta ricambiava le mie piccole consegne con cioccolatini e biscotti fragranti, preparati dalla sorella e poi mi lasciava giocare con il suo cagnolino Gulì”.
Pascoli, inoltre, ricordava Nelly, aveva dato molto alla sua famiglia in un momento molto difficile, quando era venuto a mancare il padre Luigi. La famiglia Lemetti rischiava di perdere le licenze per gestire l’osteria e fu proprio “il Professore” ad interessarsi perché la vedova potesse continuare il lavoro del marito.