Cinquant’anni fa, il 2 ottobre 1964, usciva nelle sale italiane, dopo esser stato presentato, in anteprima, alla Mostra Internazionale cinematografica di Venezia, “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini.
In occasione dell’importante ricorrenza, all’interno del Lucca Film Festival la pellicola sarà proiettata stasera al Cinema Centrale, alla presenza di Enrique Irazoqui che parteciperà al dibattito alla fine del film.
A luglio, “L’Osservatore Romano” ha dedicato un intera pagina al Vangelo di Pasolini definendolo “un capolavoro, forse la migliore opera su Gesù nella storia del cinema”: “Sicuramente, quello in cui la sua parola risuona più fluida, aerea e insieme stentorea. Scolpita nella spoglia pietra come i migliori momenti del cinema pasoliniano”. Specificando che “proprio l’umanità febbrile e primitiva che il regista porta un’altra volta sullo schermo, finisce per conferire un vigore nuovo al verbo cristiano, che in questo contesto appare ancora più attuale, concreto, rivoluzionario”.
Virgilio Fantuzzi, docente di Analisi del Linguaggio Cinematografico alla Pontificia Università Gregoriana, nonché critico cinematografico de “La Civiltà Cattolica”, in tempi non sospetti, aveva scritto che il film “concepito fuori dagli schemi del cinema commerciale, conserva intatta la sua capacità di scuotere gli spettatori e ha il vantaggio di attenersi al testo di Matteo e di seguirlo alla lettera”.
Ma ciò che affascina, oltre all’indubbio valore artistico dell’opera, è anche la storia nella storia quella, cioè, che fa avvicinare un laico marxista (Pasolini) alla vicenda di quello che De Andrè definiva “il più grande rivoluzionario di tutti i tempi” (Gesù di Nazareth).
“Il Vangelo- rifletteva Pasolini- mi poneva il seguente problema: non potevo raccontarlo come una narrazione classica perché non sono credente ma ateo. D’altra parte io volevo filmare Il Vangelo secondo Matteo, dunque raccontare la storia del Cristo figlio di Dio, dunque raccontare una storia alla quale non credevo”.
Il 2 ottobre 1962, in occasione della festa di San Francesco Pasolini si trovò ad Assisi. Si ricordò allora che circa un mese prima aveva ricevuto un invito per partecipare a un convegno di cineasti indetto dalla Pro Civitate christiana, a cui si era rifiutato con una secca motivazione: “Non posso sopportare i farisei, che usano la religione per i propri interessi. Se verrò da voi, ci verrò a convegno finito”.
Quel giorno ad Assisi c’era una folla immensa. Tutti ad assistere alla visita di Giovanni XXIII che era venuto a mettere sotto la protezione del Santo patrono d’Italia e della Madonna di Loreto il Concilio che di lì a poco si sarebbe aperto.
“Sulle prime Pasolini sentì il desiderio di mischiarsi con la folla e di vedere il Papa da vicino- ha scritto Enzo Natta, critico cinematografico de “Famiglia Cristiana”-,ma subito dopo si rese conto che la sua presenza sarebbe stata una distrazione per molta gente e che lo avrebbero accusato di cercare una facile pubblicità”.
Si ritirò, allora, in una stanza della Cittadella. Entrato, si sdraiò sul letto.
“D’istinto allungai la mano al comodino- ricordò poi Pasolini-, presi il libro dei Vangeli che c’era nella camera e cominciai a leggerlo dall’inizio, cioè dal primo dei quattro Vangeli, quello secondo Matteo. L’idea di un film sui Vangeli m’era venuta anche altre volte, ma quel film nacque lì, quel giorno, in quelle ore”.
Non a caso dedicò la pellicola “alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII”.
L’intellettuale fu rapito dalla lettura di quella storia. Raccontò poi ancora a proposito della genesi dell’opera: “quel giorno, l’ho letto tutto di seguito, come un romanzo. E nella esaltazione della lettura mi è venuta, tra l’altro, l’idea di farne un film. Un’idea che da principio mi è sembrata utopistica e sterile. E invece no…”.
Già, “e invece no…”.
Così, appena tre mesi dopo, presentò il progetto al suo produttore Alfredo Bini, uomo d’altri tempi che amava la cultura e le sfide.
Dopo un primo sopralluogo in Palestina, Pasolini decise di girare il film nel sud Italia, a Matera, la città dei sassi, per ritrovare luoghi e atmosfere analoghe al Vangelo.
Riprese, con primi piani ravvicinatissimi, i volti dei contadini e dei pescatori del Sud, sdentati, con la faccia mangiata dal sole e dal vento.
Come in tanti altri film del regista il cast è composto solo da attori non professionisti. Ma non per questo non famosi… Al Vangelo parteciparono un numero notevole di artisti e intellettuali dell’epoca.
Ecco allora il giornalista Marcello Morante (padre di Elsa) interpretare Giuseppe, il poeta Mario Socrate il Battista, il critico Enzo Siciliano l’apostolo Simone, la scrittrice Natalia Ginzburg Maria di Betania, lo scrittore Alfonso Gatto il discepolo Andrea. Per dirne solo alcuni.
E poi c’è la Madonna interpretata negli anni della giovinezza dall’allora quattordicenne Margherita Caruso e poi nella vecchiaia dalla madre dello scrittore: Susanna Colussi. Appare lungo la Via che porta al Calvario per seguire il figlio sino alla fine, sulla Croce. Al momento della ripresa della scena del dolore della Madonna di fronte al figlio morente, Pasolini si avvicinò alla madre sussurrandogli: “Ricordati di Guido”. Guido, il fratello partigiano, morto- a vent’anni- a Porzus. Così, ricordando il dolore di quel giorno si immedesimò nel dolore della Madre.
Il Golgota, la morte e la Resurrezione. Tutto fedele al testo originale.
“Avrei potuto- confessò Pasolini- demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile”.
E allora, ecco il finale dove il Risorto si rivolge agli undici discepoli sul monte di Galilea. A loro toccherà andare ai quattro angoli della Terra a portare la buona novella. Ma quel Cristo, che sembra un icona medievale, li rassicura: “io sono con voi, fino alla fine del Mondo”.
Article by Nazareno Giusti