Silvio Soldini lascia da parte la linea realista intentata coi suoi ultimi lavori (Giorni e nuvole, Cosa voglio di più) per ritornare ai toni colorati e surreali della sua produzione abituale. In una stralunata Torino, si dipanano le vicende di diversi personaggi, le cui vicende sono inconsapevolmente legate da un phil rouge. Leone Buonvento (Valerio Mastandrea) è un idraulico vedovo, padre attento di due figli adolescenti, Madda (Serena Pinto) e Elia (Luca Dirodi); la moglie (Claudia Gerini), scomparsa in un incidente, tutte le notti torna a fargli visita per dispensare consigli e battibeccare. Il dramma in famiglia esplode quando un ex fidanzatino di Madda posta su internet un loro vecchio video hot; la notizia nel giro di poche ore spopola sul web e nel vicinato. Leone è allora costretto a rivolgersi al corrotto e cafone avvocato Malaffanno (Luca Zingaretti), che in cambio della rinuncia al proprio onorario, gli chiede di mettere una “firmettina” per consentire a un suo “amico” di acquistare un appartamento. Presso lo studio, Leone conosce la iellata e timida pittrice Diana (Alba Rohrwacher) che sta affrescando una parete in base ai gusti dell’avvocato, senza osar protestare dinanzi alle discutibili indicazioni del committente per l’impellente bisogno di soldi. Il denaro le serve principalmente per pagare l’affitto al padrone di casa Amanzio (Giuseppe Battiston), rude e aggressivo moralizzatore urbano che vive di quel solo introito, trascinando le proprie giornate tra citazioni e critiche. Ad osservare tutti dall’alto, una cicogna di nome Agostina e la statua di Garibaldi che continua ad interrogarsi se sia valsa veramente la pena di fare l’Italia.
Il nuovo film di Silvio Soldini presenta temi ricorrenti nel regista. Anzitutto una galleria di personaggi che sono un po’ border line, un po’ naif. Il mondo gretto, ignorante, isolazionista identificato in una Torino invasa da grattacieli, gru, luci psichedeliche che snaturano l’armonioso profilo delle Alpi in lontananza, lo si affronta o con la gentilezza e la buona volontà di chi quotidianamente non manca di lavorare sodo (Mastandrea) o cogliere i piccoli particolari della vita (Rohrwacher), oppure con l’aggressività di chi non accetta un sistema malato, a suon di improperi e previsioni catastrofiche (Battiston). La manifestazione surreale di questo aspetto si estrinseca nelle conversazioni bellicose tra la statua dell’onesto Garibaldi (con la voce di Pierfrancesco Favino) e quella del disfattista Cazzaniga (voce di Gigio Alberti), e nelle solitarie elucubrazioni del busto di Leopardi (doppiato da Neri Marcoré). La parte dell’intervento di queste voci fuori campo, sorta di moralizzatrici di un’epoca passata, è però completamente fuori luogo nella pellicola, quasi inopportuna e puerile, noiosa, incapace di dimostrare una evidente connessione con il resto delle vicende. Quanto a queste, abbiamo il solito tripudio di colori e situazioni tipico dei film di Soldini: storie intrecciate, personaggi al limite del credibile, con parrucchini di scorta (non solo Zingaretti, ma anche la zazzera nera della Rohrwacher) ma che valgono come tante figurine di ottimismo da far muovere in un mondo negativo dove sopravvive la speranza di un avvenire migliore. Originale e buon lavoro di montaggio e sceneggiatura; qualche stanchezza costella un film che si segue volentieri ma senza lasciare dietro a sé un ricordo tangibile, né un’emozione, né un insegnamento.